La moderna terapia infusiva ha meno di un secolo. Eppure, già nel 1600 si sapeva che i farmaci potevano essere iniettati in una vena. A causa della mancanza di un appropriato metodo scientifico, i tentativi originali di somministrare fluidi e farmaci per via endovenosa hanno avuto scarso successo.
Come siamo arrivati alle infusioni venose? Attraverso quali orrendi, dolorosi esperimenti siamo dovuti passare prima di arrivare agli accessi venoso periferici e centrali?
William Harvey (1578-1657) è fra i primi a studiare anatomia e fisiologia dell’apparato vascolare. I suoi studi nascono dall’idea: “Proviamo ad iniettare una sostanza nel circolo ematico!”. Oggi è una banalità, ma proviamo ad immedesimarci: spostiamoci alla fine 1500 d.C.
La visione dell’anatomia umana degli studiosi di allora era alquanto limitata. Tuttavia, avevano ben chiara l’esistenza di “tubicini” in cui scorre il sangue.
Qualcuno allora si è domandato: “E trovassimo il modo di iniettare qualche altra sostanza dentro?” Sì, una geniale intuizione. O un’idea da psicopatici.
In fin dei conti: una brillante idea da disadattati.
Il primo fra questi, di cui è rimasta traccia: Sir Cristopher Wren, noto ora ai più per essere l’architetto della cattedrale di Saint Paul, Londra. Nel 1656 segnalò che riusciva a reperire una via per convogliare sostanze liquide nel sangue. Il suo metodo? Immobilizzava un grosso cane, applicava un “antenato” del laccio emostatico, ed incideva a valle della legatura. Nel foro, infilava un pennino d’oro o una penna d’oca, al cui altro capo era collegata una vescica di pecora contenente la sostanza da iniettare. Spremendo la vescica, avveniva l’infusione.
“Ho iniettato vino e birra nel circolo sanguigno di un cane vivo, in buone quantità, finché non l’ho fatto ubriacare (…).”
Importante aggiungere che abbiamo prove storiche che il cane è sopravvissuto, è ingrassato e in seguito ha cambiato proprietario.
Menzione d’onore al ricercatore meno conosciuto e considerato: Thomas Latta, che nel 1832 salvò migliaia di vite grazie a semplici infusioni di fisiologica, durante una devastante pandemia di colera. Dopo la morte di Latta, la tecnica da lui adoperata fu abbandonata per anni: difficile abbattere lo scetticismo del mondo medico per questa nuova tecnica.
L’interesse per l’incannulazione venosa era rivolto non tanto alla somministrazione di farmaci, bensì verso la trasfusione di sangue. 1964: Francesco Folli (di nome e di fatto) descrive la prima trasfusione ematica. Due persone, un ricevente e un donatore, si stendevano l’uno su un ripiano più in basso dell’altro. Dopo l’incisione di una grossa vena, i loro circoli sanguigni erano congiunti mediante un sottile tubicino d’argento e una cannula d’osso. Per gravità, il sangue usciva dal donatore ed entrava nel ricevente.
Continuano gli esperimenti sugli animali: nel 1844 il francese C. Bernard incannula un cavallo a livello della vena giugulare interna (enorme, in questi animali) arrivando fino al ventricolo destro. Nel 1912, Ernst Unger utilizza un catetere ureterale per incannulare una vena del braccio e della coscia fino alla vena cava superiore. Il posizionamento della punta era valutato sulla base del dolore riferito dal paziente durante la progressione del catetere lungo il braccio!
Nel 1929 Werner Forssmann riesce per primo a documentare con un esame radiografico il posizionamento della punta in atrio destro. È inoltre il primo ad illustrare il circolo venoso centrale (1931) iniettando su se stesso del contrasto radiopaco. Questo medico precorre talmente i tempi da essere respinto dal mondo scientifico e professionale.
“Di certo non diventerai chirurgo in questo modo!”, gli disse il Professor Ferdinand Sauerbruch, direttore della Cattedra di Chirurgia dell’Ospedale Charité di Berlino. Gli proibì di proseguire i suoi studi operando sui pazienti.
Forssmann aggirò il veto della direzione, usando se stesso come cavia. Descrive così il suo esperimento:
“…in un batter d’occhio mi sono anestetizzato la piega del gomito e ho aspettato che la parte si addormentasse. Quindi ho praticato velocemente l’incisione sulla cute, ho introdotto e spinto il catetere per 30 centimetri, ho coperto con delle garze e con una medicazione sterile.”
Vedendo in scopia ho evidenziato la punta del catetere nell’atrio, esattamente dove l’avevo immaginata. Per documentare il tutto ho fatto una radiografia.”
Un ulteriore discredito viene dalla morte di una paziente affetta da peritonite purulenta a cui somministra in emergenza un litro di soluzione glucosata e di strofantina attraverso un catetere posizionato con la sua tecnica.
Forssman allora fu definitivamente allontanato dalla Clinica e il suo Direttore lo apostrofò: “Pazzo, meritevole di lavorare solo in un circo!” Forssmann, nel 1956, ricevette il Premio Nobel per la Medicina. Ispirati dai suoi studi ed esperimenti, altri autori come Cournand, e Richards si dedicarono anche al cateterismo cardiaco e agli studi emodinamici.
L’intuizione geniale e l’ostinata perseveranza di questi pionieri ha aperto la strada a nuovi e più sicuri sistemi infusionali, indispensabili per infondere soluzioni iperosmolari o altrimenti irritanti e per permettere gli studi di emodinamica.
FONTI
Millam D (January 1996). “The history of intravenous therapy”. Journal of Intravenous Nursing. 19 (1): 5–14. PMID 8708844.
Anonymous: An account of the rise and attempts, of a way to conveigh liquors immediately into the mass of blood. Philos Trans R Soc London 1665–1666; 1:128–30
Jardine L: On a grander scale, The outstanding life of Sir Christopher Wren. New York, Harper Collins, 2002, pp 122–3, New York, Harper Collins
Bergman NA: Early intravenous anesthesia: An eyewitness account. Anesthesiology 1990; 72:185–6
Millam D. The history of intravenous therapy. J Intraven Nurs. 1996 Jan-Feb;19(1):5-14. PMID: 8708844.
Mi piace molto questo commentario degli infusione endovenosa bravissimo
Grazie mille!