Questo articolo esprime solo ed esclusivamente l’opinione personale dell’autore. L’autore sono io: sono un infermiere laureato nel 2019. Faccio parte della generazione che è già stata disgraziatamente battezzata “figli del covid”: dopo una puntata in casa di riposo, sono stato assorbito dall’emergenza, che mi risucchiato, masticato e sputacchiato. Volente o nolente, ho prestato servizio in diverse semintensive covid, coprendo i picchi di tutte le ondate. Ora lavoro nel reparto di malattie infettive, e mi trovo bene.
Voglio dirti qualcosa che sai già: l’infermiere è responsabile dell’assistenza infermieristica. Però c’è qualcosa che forse ti suonerà nuovo: siamo responsabili anche degli operatori di supporto.
ART. 36 – OPERATORI DI SUPPORTO
L’Infermiere ai diversi livelli di responsabilità clinica e gestionale pianifica, supervisiona, verifica, per la sicurezza dell’assistito, l’attività degli operatori di supporto presenti nel processo assistenziale e a lui affidati.
L’infermiere è una figura professionale diversa dall’OSS: non siamo OSS, né siamo in alcun modo interscambiabili con questa figura. Tuttavia, in alcune occasioni durante la mia quotidianità in reparto, svolgo anche attività che rientrano nelle competenze dell’OSS.
Spero di trovarti d’accordo quando dico: tutte le figure sanitarie lavorano insieme con le loro diverse competenze per garantire l’assistenza. Queste competenze si intersecano.
Capita partecipi all’igiene di alcuni pazienti. Lo faccio nei panni di infermiere: mentre gli oss lavano il paziente, io preparo i materiali per la medicazione. In questo modo, quando il paziente è in posizione, io sono pronto: detersione, sbrigliamento, riattivazione dei margini, medicazione avanzata.
Così partecipo alle igieni: gli OSS puliscono, io medico. Insieme ad altri colleghi, sono referente delle lesioni da pressione del reparto. Tengo contabilità di ogni lesione: a fine anno abbiamo il responso di quanto siamo stati efficaci in prevenzione e cura. Mi piace vedere le lesioni che guariscono grazie al mio operato. Mi gratifica. E il modo più efficiente per farlo, nella routine di reparto, è camminare a pari passo con gli OSS.
Se non li seguissi, per poter medicare, dovrei richiamarli a posturare il paziente. Un disagio per loro: l’interruzione del flusso di lavoro. Un disagio per il paziente: essere girato e voltato per l’igiene, e poi di nuovo per la medicazione.
“Devi valutare la kuteh!” “Allena l’occhio clinico”
Sono frasi che forse ti suoneranno familiari. Sono spesso usate per costringere gli studenti di infermieristica a supplire alle carenze di personale di supporto, lavorando gratis. Lo considero un ignobile sfruttamento. É capitato anche a me, durante un tirocinio in medicina, il secondo anno di università. Però, ora, nella realtà lavorativa, mi trovo spesso a valutare la cute e ad allenare l’occhio clinico. Erisipele, micosi, celluliti, irritazioni di ogni colore e forma. Il momento migliore per avere la visione d’insieme? Durante le igieni.
A volte capita io faccia le igieni. Più comunemente, igieni parziali. La sanità è in crisi da anni, i numeri sono stretti. Se il turno di pomeriggio c’è solo un OSS, io non me ne sto con le mani mano: quando ho terminato le mie attività da infermiere, le dò una mano. Questo mi rende un pessimo infermiere? Decidi tu. Però sono sicuro mi renda un buon collega.
Se un paziente evacua e non c’è nessuno nelle vicinanze pronto per cambiarlo, lo faccio io. Sapendo cosa provoca l’esposizione prolungata della cute all’acidità di feci urine, non mi sento di esporre i pazienti di cui prendo cura a simili conseguenze. Qualcuno mi ha detto: “Non sei tu che lo lasci nella cacca, è la direzione sanitaria!”
Però: con quale faccia di bronzo timbro il cartellino di uscita, avendo piena coscienza della pochezza del mio operato? In questo scenario, potrei davvero essere soddisfatto della mia professionalità?
Qualcuno mi ha scritto che il mio ragionamento è parte del problema. Secondo questa voce, faccio parte degli infermieri “retrogradi” che si fanno “condizionare dai sensi di colpa”. “Chi sta in alto” continua, “si approfitta della mia buona fede per risparmiare sul personale. É questo che fa stagnare la nostra professione, impedendole di evolversi.”
Sarà vero? E poi, chi è che sta in alto? Il datore di lavoro? L’Ordine degli Infermieri? Il Nuovo Ordine Mondiale?
Rimanendo ai fatti:
- Frequento un master: mi sto specializzando;
- Faccio parte di un team per l’inserzione di mini midline tramite procedura ecoguidata;
- Partecipo alla raccolta dati per articolo scritto con una mia collega infermieristica di ricerca;
- Faccio parte di una commissione per l’introduzione dei Clinical Pathway, il Piano Standard Integrato. In parole povere: stiamo creando un sistema per ridurre la burocrazia che mi ammorba, e toglie tempo all’assistenza.
- Ho diversi canali social (@ciuffoelinfermieristica) in cui parlo di sanità, nel bene e nel male, e cerco (almeno cerco!), di fare educazione, o di educarmi intervistando ospiti più in gamba di me;
Io sento di star facendo la mia parte, per l’avanzamento della mia professione. Però capita che io faccia le igieni. A volte imbocco pazienti con deficit neurologico di nuova insorgenza, per rendermi conto delle loro effettive capacità di deglutizione. Se riesco, cerco di mobilizzare i pazienti con la fisioterapista. Così, imparo qualche accorgimento e lo posso fare da solo il fine settimana, quando i fisioterapisti non lavorano. Se i bidoni per taglienti sono pieni, io li chiudo. Non mi domando se sia mio compito oppure no: pensa se qualcuno si bucasse!
Se in una stanza il bidone puzza di feci, lo chiudo e lo sostituisco. Anche perchè: ho in carico pazienti affetti da covid, tubercolosi, pazienti immunodepressi in isolamento protettivo… insomma, meno persone entrano nelle stanze, minor il rischio di infezioni ospedaliere.
Chiaro: se il turno è infernale, faccio solo ed esclusivamente il mio lavoro da infermiere. Anzi, mi faccio aiutare: a volte preparo la terapia, e affido la somministrazione all’oss. Chiedo di rilevare alcuni parametri, oppure di raccogliere dei campioni.
Ma finché sono in servizio, offro il mio servizio.
Sono stufo di ricevere sui miei canali social commenti di infermieri diplomati che si lamentano di noi laureati dicendo che siamo pigri e snob. Basta! È uno stereotipo da ignoranti. Ci sarà sicuramente qualcuno che non ha voglia di fare un tubo, ma lo stesso vale per le generazioni precedenti alla mia.
Non so se la figura dell’infermiere, per come si sta evolvendo (e la stiamo facendo evolvere) si allontanerà definitivamente dall’assistenza di base. Però, ora, non ho nessuna remora, nelle situazioni che lo richiedono, a fare le igieni.
ART. 29 – VALORI NELLA COMUNICAZIONE
L’Infermiere, anche attraverso l’utilizzo dei mezzi informatici e dei social media, comunica in modo scientifico ed etico, ricercando il dialogo e il confronto al fine di contribuire a un dibattito costruttivo.
FONTI:
Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche (2019)