Siamo ormai in estate e l’esposizione al sole diventa un must per essere più belli, felici e abbronzati. Ma attenzione! L’esposizione ai raggi solari è cambiata negli ultimi 30 anni, diventando di peggiore qualità. Gli eritemi sono presenti anche solo dopo una sola esposizione e il ricorso ai raggi UV di lampade abbronzanti è diventata un’abitudine frequente. Tutto questo si traduce in un’unica parola: melanoma.
I melanomi, rispetto al passato, sono aumentati di 300 volte. In Italia ci sono 15 casi ogni 100.000 abitanti ed è in incremento in alcune aree geografiche come la Nuova Zelanda e l’Australia (basti pensare che proprio in Australia esistono distributori pubblici di filtri solari per difendersi dal sole). Parliamo del tumore per definizione dei melanociti, ma esistono anche melanomi che interessano le mucose del cavo orale, vaginale, intestinale e della coroide oculare.
Come si può notare anche dalle varie tipologie è un tumore che ”non rispetta le regole” per ciò che riguarda le sedi e i tempi di recidive. La diagnosi clinica rende possibile la diagnosi precoce poiché molti casi clinici sono riconosciuti a occhio nudo e solo nei tempi giusti si rende possibile la guarigione. I soggetti con carnagione chiara, capelli biondi o rossi, occhi chiari, lentiggini, con più di 50 nei congeniti dalla nascita presentano i fattori di rischio per i quali l’esposizione al sole dovrebbe essere controllata.
Per difendersi, dunque, sono necessarie non solo l’ispezione e l’epiluminescenza, ma anche una completa mappatura dei nei, che prevede l’osservazione del soggetto completo, rimuovendo quindi anche slip e calzini. La diagnosi clinica, pertanto, si basa sulla valutazione del nevo secondo il ben noto schema ABCDE:
– Asimmetria: quando un lato della lesione è diverso dall’altra
– Bordo irregolare: a carta geografica e, se la lesione è ulcerata e sanguina, la prognosi peggiora
– Colore disomogeneo o policromo: il colore della lesione risulta diverso nelle sue aree
– Diametro maggiore di 6 mm
– Evoluzione: l’osservazione su se stessi può indurre sospetto e anticipare di molto la diagnosi
Ciò che conta ai fini prognostici non è quanto sia esteso il melanoma, ma quanto sia profondo, e in questo ci aiutano le stadiazioni di Clark e Breslow, che classificano i melanomi rispetto alla profondità della cute interessata dalla lesione maligna. Tutte le volte che si asporta un nevo con un taglio che rispetti la cosmesi, anche con un intervento di chirurgia ambulatoriale, va sempre analizzato e occorre fare l’esame istologico. Se la lesione risulta maligna, si eseguirà un’escissione a losanga fino alla fascia muscolare, rispettando i criteri oncologici. Si comprende bene che 2-3 mm cambiano completamente la storia del melanoma, in cui passiamo da una condizione quasi certa di guarigione a una elevatissima probabilità di recidiva, che si traduce in morte.
La sopravvivenza è significativamente maggiore se si effettua l’intervento giusto con la rimozione del linfonodo sentinella, ovvero il primo linfonodo che drena la linfa al tumore prima che la linfa arrivi alla stazione linfatica principale, e che può essere individuato la sera prima dell’intervento, iniettando blu di metilene oppure praticando un’iniezione di tracciante coniugato con microcollioidi di albumina nel letto tumorale (entrambi linfotropi che si andranno a concentrare nel linfonodo sentinella e, attraverso la gamma camera, si individuerà proprio il linfonodo sentinella). Se quest’ultimo risultasse positivo, si dovrà procedere con la dissezione della stazione linfatica principale per evitare lo sviluppo di metastasi.
L’aspettativa di vita cambia, dunque, a seconda della positività del linfonodo dal 40% al 70-80% di possibilità. Questo, in sostanza, vuol dire salvarsi dal melanoma: occorre proteggersi, adottando filtri solari (utilizzare creme solari, evitare l’esposizione nelle ore più calde della giornata), e combattere il melanoma con un’attenta e tempestiva ispezione e diagnosi precoce.